Quale ruolo per il RLS
La sentenza della Cassazione Penale del 26 Settembre 2023 n.38914 che condanna un Rls, ha creato, al di là della vicenda specifica, un dibattito molto interessante tra giuristi e addetti ai lavori.
Ricordiamo che il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls) è considerato, dalla legge italiana, una figura rilevante essendo colui che” rappresenta i lavoratori sul tema della salute e sicurezza durante il lavoro”( art.2 lett i) del D.Lgs. 81/08. E lo è anche nella normativa di fonte europea che guarda alla prevenzione come a un processo partecipato che porti al raggiungimento del benessere lavorativo.
Nel Manuale prodotto nel 2012 dalla UE è scritto: “Il ruolo del rappresentante dei lavoratori consiste nel garantire che questi ultimi possano contribuire al processo decisionale …. dando voce alle loro idee, opinioni e preoccupazioni.” Un ruolo, quindi, non di mero “intermediario”, ma di collaboratore alle decisioni finali. Ancora più chiara era stata la Direttiva Quadro Europea del 1989 all’art 11:”
1. I datori di lavoro consultano i lavoratori e/o i loro rappresentanti e consentono loro di partecipare alle discussioni su tutte le questioni relative alla sicurezza e alla salute sul lavoro.
Ciò presuppone:
- la consultazione dei lavoratori,
- il diritto dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti di avanzare proposte,
- partecipazione equilibrata in conformità con le leggi e/o le pratiche nazionali.
Sul tema partecipativo, e in particolare su come debba essere intesa la consultazione, si concentra un tema centrale in Italia. Diversamente da Paesi in cui la partecipazione, declinata in confronto con modalità cogestive o codeterminative è storicamente parte delle relazioni sindacali, in Italia questo modo di integrare la rappresentanza dei lavoratori, è molto meno affermata. Anzi, nei decenni che ci separano dal dopoguerra, direi che la conflittualità l’ha fatta da padrona e i pochi tentativi portati avanti per via contrattuale, tramite accordi triangolari concertativi (per esempio quello del 1992) con la presenza dei Governi o in esperimenti quali il Protocollo IRI del 1984 hanno avuto tutti una vita precaria e breve.
Lo si è visto anche con la mancata realizzazione dell’art.4 comma 62 della legge delega 28/6/2012 n. 92 (cd legge Monti Fornero). E nell’applicazione del precedente Decreto Legislativo 6 febbraio 2007, n. 25 in recepimento di una Direttiva Ue dove si promuove la consultazione definita all’art.2 come:”ogni forma di confronto, scambio di opinioni e dialogo tra rappresentanti dei lavoratori e datore di lavoro su questioni attinenti alla attività di impresa”.
Insomma, una convinta e costante collaborazione non si è mai realizzata nelle imprese italiane e ha vita difficile pure su un terreno quale quello della salute che per definizione è un tema in cui non si ha o non si dovrebbe avere nessuna conflittualità essendo un argomento di interesse della (intera) collettività nazionale come recita l’art.32 della Costituzione.
Questo nonostante il D.Lgs.81/08, facendo violenza alla libertà dei lavoratori di organizzarsi (come nel caso della rappresentanza sindacale) obbliga ogni azienda ad avere uno o più Rappresentanti dei lavoratori. Indicazione tanto cogente che nel caso non si trovasse una persona disponibile a ricoprire tale ruolo all’interno dell’impresa, l’incarico deve essere ricoperto da una figura esterna: il RlsT. Cosa che anche questa, purtroppo, avviene raramente per via dell’assenza di alcuni decreti attuativi che la rendono possibile.
La sentenza del settembre 2023 sembra riconoscere questo impegno collaborativo quando afferma che il Rls è la persona che” partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.” Un flusso informativo immagino nei due sensi. In sostanza, è la persona che offre un contributo unico e originale nel fornire i dati che raccoglie dai suoi accessi negli ambienti di lavoro e dai suoi quotidiani contatti con i lavoratori e dall’altro collabora alla diffusione delle misure di prevenzione di volta in volta decise di comune accordo. Si citano per questo, nella sentenza, due aspetti che fanno parte dell’elenco delle attribuzioni dell’art.50: la lettera h) ed m) dove è più evidente il contributo attivo che il Rls può o, meglio, deve assumere.
Arriviamo al punto dolente che ha fatto di questa sentenza un caso: le sanzioni.
Com’ è noto il D.Lgs.81/08 mette al centro delle politiche di prevenzione aziendali quattro figure: il datore di lavoro, il suo collaboratore il RSPP, il Medico Competente e infine il Rls. Intorno a loro ci sono i dirigenti, i preposti e i lavoratori. A ciascuna di queste figure, il cosiddetto Testo Unico, assegna obblighi, compiti e attribuzioni.
Al Datore di lavoro sono assegnati nell’art.18 diversi obblighi, oltre a quello a cui è sottoposto in virtù dell’art.2087 del codice civile; altrettanto vale per il Medico Competente, al Rspp sono affidati dei compiti, mentre per il Rls si parla di attribuzioni. La sentenza non sottilizza più di tanto e parla di compiti attribuiti. “Richiamati i compiti attribuiti dall'art. 50 al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza, ha osservato come l'imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge”. La Corte sembra mettere in relazione i diritti elencati nell’art.50 con, non tanto dei chiari obblighi, quanto almeno con dei doveri.
A seguito di tali incarichi, quanto riguarda le sanzioni, hanno esplicite sanzioni, massimamente il Datore di Lavoro, poi i dirigenti, i preposti, il Medico Competente e infine gli stessi lavoratori. Altre figure, quali il Rspp e il Rls non hanno sanzioni. Nonostante questo, è giurisprudenza consolidata che, gli Rspp, hanno comunque delle responsabilità. Ne sono fede le condanne a loro carico, tra cui quella della Cassazione Penale, Sez. 4, 20 luglio 2018, n. 34311 motivata:
“il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa, che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (Sez.4, n.32195 del 15/7/2010, Rv.248555).”
Si deduce che la mancata segnalazione di aspetti che possano creare una situazione di rischio o pericolo fa sì che anche il RSPP possa essere sottoposto a sanzioni pur non essendo nell’elenco sanzionatorio previsto nel Capo IV del Titolo I del D.Lgs.81/08.
Va sottolineato che il dovere di segnalazione è un aspetto ritenuto centrale e più volte ripreso dalle norme, rivolto a tutte le figure, dell’intera gerarchia aziendale, E’ presente tra gli obblighi dei lavoratori (art.20 lett.e) e tra le attribuzioni dello stesso Rls all’art.50 lett.n), dove è prescritto un dovere di “avvertimento” all’azienda dei rischi che individua nel corso dei suoi sopralluoghi negli ambienti lavorativi. Pur, come si è detto, a tale indicazione, se non rispettata, non corrisponda nessuna sanzione.
A mio modo di vedere, la mancanza di sanzioni se da una parte allegerisce le responsabilità del Rls, dall’altra ne indebolisce la funzione. Se gli vengono attribuiti dei compiti che, nel caso non li svolga, nulla accada, si rischia di far intendere che tali compiti siano sostanzialmente ininfluenti ai fini del raggiungimento di quello che la legge prescrive. E questo risulterebbe contraddittorio con un quadro normativo generale e con la logica dei diritti/doveri esplicitati dalla stessa sentenza. Che infatti continua chiarendo che il Rls in questione viene sanzionato non per aver espresso un parere che, peraltro il datore di lavoro grazie alla sua struttura organizzativa doveva già conoscere,ma perché ha consentito “che il C.C. (cioè il lavoratore infortunato) fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l'adozione da parte del responsabile dell'azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal RSPP”.
Si insiste sul tema del mancato rispetto dei propri compiti, potremmo dire deontologici, che hanno particolarmente rilievo quando contribuiscono a creare o a non contrastare una situazione di pericolo di infortunio. Sembrerebbe così chiudersi il cerchio: oltre al DdL, al Medico e ai lavoratori, anche il RSPP e il Rls, benchè non sanzionati dal D.Lgs.81/08, possono essere condannati nel caso le loro azioni o omissioni contribuiscano a creare una situazione di pericolo.
Chi contesta la condanna, anche qualche voce di parte sindacale, tende a minimizzare il ruolo del Rls. Insiste, cioè, sottolineando che il Rls non decide e non partecipa a nessuna decisione, al massimo avanza delle osservazioni che, come spesso accade, possono essere pacificamente ignorate senza nessuna conseguenza. E non penso faccia un buon servizio a questa figura che Rappresenta i lavoratori. E inoltre aggira l’argomento base su cui si basa la sentenza. Il tema non è la decisione, ma la mancata segnalazione.
Addirittura si adombra, ma questo nulla ha a che vedere con la sentenza, che qualsiasi responsabilità e sanzione farebbero fuggire i lavoratori dal ruolo del Rls. Non ci sarebbero più lavoratori disposti a ricoprire quel ruolo.
Ora è vero che il Rls è, tra le quattro figure importanti, l’unico che svolge il suo ruolo non come professionista, retribuito e tutelato da contratti. Rls è l’unico che svolge il suo ruolo a tempo, per poche ore l’anno, mentre per la maggior parte del suo tempo è un lavoratore impegnato nella produzione. E se non basta è, già ora, una persona che a volte rischia persino il posto di lavoro o la carriera, o la sede di lavoro più favorevole, per avanzare osservazioni e proposte che non sempre ricolmano di gioia e di riconoscenza il DdL. Già ora chi accetta di ricoprire un ruolo di rappresentanza dei lavoratori su un tema così delicato sa che può andare incontro a un lavoro oneroso su cui grava la necessità di formazione e aggiornamento costante, che può creare tensione con il datore di Lavoro e i dirigenti e, non poche volte, incomprensioni anche con qualche lavoratore. Eppure, per fortuna, sono tanti che accettano di svolgerlo gratuitamente e con passione. In Italia sono centinaia di migliaia. E’ una scelta etica così rara che non mi meraviglia che si faccia fatica a capirla.
C’è da aggiungere che se anche fosse vero che la paura di sanzioni davanti a mancate segnalazioni, possa essere una molla per disertare il ruolo, sarebbe una paura inutile. Infatti, l’obbligo di segnalazione coinvolge qualsiasi lavoratore. Quindi Rls rischia, non segnalando, quello che comunque rischierebbe come lavoratore sulla base dell’art.59 c.1 lett.a).
La tragedia ottocentesca
Non capita troppo spesso di avere la possibilità di fare dei salti temporali così ampi ma oggi nel 2024 è possibile. Spendere tante risorse ed energie per rendere il contratto di lavoro per l'ambito edile più moderno e attuale e ritrovarsi invece applicati altri non aiuta. Come portare questo Paese fondato sul lavoro nel tempo attuale? Nel 2024?
Con l'esperienza e la conoscenza maturata dai tanti infortuni, dai lavori usuranti e dalle malattie professionali affinché non sia inutile aver speso così tante risorse ed energie.
Le ultime tragedie sul lavoro aprono uno squarcio spazio temporale, ritrovarsi all'interno di questi cantieri ottocenteschi con migranti senza neanche il permesso di soggiorno. Quali diritti possono avere? Quelli degli invisibili appunto. Come può accadere nel 2024 in Italia? Con un committente tra i più ricchi del comparto della GDO. I controlli sono tra gli elementi che consentirebbero questo recupero spazio temporale ma abbiamo un terzo degli ispettori della media europea, e gli ispettori che fanno le ispezioni sul campo sono ancora meno.
Anche un controllo sociale, le reti sindacali, un maggiore impegno compreso quello dei cittadini ai luoghi, all'ambiente in cui viviamo noi tutti.
E non ultime la prevenzione e la formazione. Aggiungerei l'obbligo di formazione intensa i primi mesi dall'assunzione, in qualsiasi comparto perché il 2024 non aspetta e l'800 è veramente troppo vicino a tutti noi.
Da Luciana Bruno